
Luogo
07 mar, 21:00 – 22:30
Roma, Piazza di Porta S. Giovanni, 10, 00185 Roma RM, Italia
L'evento
Mettere in scena un testo di Celeste significa lasciarmi guidare dalle sue parole. Ho condiviso con lei vent’anni di vita e di lavoro, innumerevoli spettacoli, lo stesso pianerottolo, la Bottega Teatrale di Vittorio Gassman a Firenze, insieme poi diretti da Giancarlo Cobelli, le stesse utopie. Un raro talento di attrice e autrice. Nei suoi scritti c’è l’indignazione per un’Italia guasta e miserabile, l’orrore per l’omologazione brutalmente dittatoriale del mondo, l’amore per il teatro malgrado tutto. Pagine inquiete di una donna agguerrita, caustica, tenera. Le ultime parole che mi ha detto, pochi giorni prima di perdere conoscenza, sono state: “Tutto nasce da dentro”. E io ho pensato a Novalis: “Le malattie, specialmente le lunghe malattie, sono anni di apprendistato dell’arte della vita e della formazione dello spirito”. In “Certo che mi arrabbio”, testo nel quale racconta la sua lotta contro il cancro, Celeste sorprende per una comicità travolgente, per la sua impetuosità, per la delicatezza. Sagace, graffiante, malinconica. È un diario, un fiume vorticoso, turbolenze improvvise, stati d’animo a più facce, avvenimenti esaltati da una cifra evocativa che svela una ventennale frequentazione col Teatro. Tra le possibilità di attuazione scenica di questo testo magnifico, ho prediletto il percorso di una donna che, attraverso il dolore del corpo, tenta con fatica di rintracciare il proprio dolore spirituale. “I miei occhi cambieranno” diviene, pertanto, più di una frase tratta da quest’ultimo scritto di Celeste: è un’esortazione alla trasformazione o, meglio, un incitamento a ritrovare, ad accettare l’autentica nostra vocazione e quindi la nostra essenza. È l’urlo di ribellione di chi non vuole essere ridotto a mero “caso clinico” e che tenta, disperatamente, di mostrare che il dolore ci trasforma, ci perfeziona. Cambiare. Ciascuno secondo la propria imprevedibile storia e attraverso le proprie inevitabili ferite, inseriti tutti nella medesima vicenda esistenziale scandita, sì, dall’umana vulnerabilità ma, più di ogni altra cosa, dalla medesima tensione evolutiva.